Adoro Franca Leosini, bevo le sue storie da sempre, impazzisco davanti alla sua prosa verbosa, antica, impopolare, barocca. Sono una “Leosiner” così come ha definito l’enciclopedia Treccani: “Chi sostiene con entusiasmo la giornalista Franca Leosini”. Non sono una fan, non comprerei e non indosserei mai una delle sue mitiche giacche, non mi truccherei e non mi cotenerei i capelli come la 87enne giornalista napoletana, non resterei ore in piedi per un suo autografo. Seguo la Franca perchè mi interessa la sua psiche e la psiche degli umani, mi piace il suo metodo, mi piace il suo lavoro, la sua attenzione, la sua capacità di scendere negli inferi, ammiro il suo coraggio di guardare negli occhi omicidi, violenti e stupratori. Le sue “Storie Maledette” ci raccontano chi siamo, cosa ci fa stare male, cosa aggredisce la nostra mente, cosa pensiamo, quali sono i valori di un assassino, la morale comune e la morale personale. E’ il Virgilio di una “Umana Tragedia” che non cambia mai, amore, gelosia, invidia, avarizia, accidia, ira, indolenza, tutto insieme in una mescolanza che non lascia scampo. Il nuovo programma andato in onda su Rai 3 in prima serata il 4 novembre “Che fine ha fatto Baby Jane?” è una sorta di sequel in due puntate del seguitissimo “Storie Maledette”, in cui la giornalista incontra ex detenuti, da lei già intervistati anni prima, per scoprire come si vive dopo aver scontato una pena per omicidio. Protagonista della prima puntata è Filippo Addamo, condannato per l’omicidio della madre nel 2000. Una storia difficilissima da sopportare per la giovanissima età dell’assassino, per la giovane età della vittima, per il legame tra i due protagonisti: madre e figlio. Una vera tragedia greca che per ironia della sorte si è consumata in via Teatro Greco a Catania. Rosa Montalto di anni 38 venne uccisa all’interno della sua automobile con un colpo alla nuca dal figlio di 17 anni. Rosa era femmina “bella e lucente” e voleva vivere. Filippo era giovane, maschio e voleva tornare dentro il ventre di sua madre. Un dramma umano e culturale che, nel 2000, in una società antiquata e patriarcale non ha sopportato la scelta di una donna che dopo aver dedicato la sua breve vita alla famiglia, sposa a 15 anni e nonna a 35, decide di essere libera, di amare. A fare particolare clamore, all’epoca, il fatto che il marito non andò al funerale e la figlia si rifiutò di andare a trovare la madre al cimitero. Per Rosa, nessuna fiaccolata: la sua decisione di lasciare la famiglia l’aveva fatta etichettare, doppiamente vittima, “civetta, leggera ed irresponsabile” durante il processo che ha portato alla condanna del figlio. Un femminicidio che ricorda i delitti d’onore giustificati dalla giustizia “maschile”, la cultura delle “donne sono tutte puttane” che ha armato la mano di un bambino maschio morbosamente attacato alla madre e alla ricerca di un ruolo. Filippo Addamo ha scontato la sua pena, ora è un uomo libero, vive all’estero ha una moglie e un figlio. Tutto sembra essere tornato sui binari della normalità. La Leosini chiede alla fine “cosa racconterà al suo bambino?” Filippo risponde “per fortuna c’è ancora tempo, è ancora troppo piccolo”. Qualcosa potrebbe dirgli già adesso, per esempio, che la libertà delle scelte va rispettata. E che la vita umana è più importante di qualsiasi altra cosa.

Anna Chisari