La mia parte adulta era prevenuta. Sarà solo un’operazione commerciale, mi dicevo. Un vero autore sa quando è ora di smettere. E poi, uno “scriptbook”: non aveva più voglia di scrivere tanto, ha buttato giù qualche abbozzo. Lei, la Rowling, può permetterselo, e glielo pubblicano subito, probabilmente troppo in fretta.
Ma la mia parte bambina, quella sì! Aspettava il 24 settembre e non pensava più nemmeno che l’estate era finita. Esce un nuovo Harry Potter, come dire che il mondo ricomincia, è un day after pieno di goia pura, sfrenata. Lo avevo ordinato, ordinatamente, per non dovermi mettere in coda. Ma in libreria non c’era quell’aria di trionfo che immaginavo, vetrine piene di copie, gadget, grandi cartoni colorati con la copertina ingigantita, niente. Solo io e una ragazza gentile, neanche giovanissima, tutti e due fieri di pagare l’impagabile: un bel volumone giallo, pronto per un weekend emozionantissimo; niente impegni, sabato sera a casa, si apre il libro e via. L’ansia esplosiva, la dolcezza paurosa di una prima notte di nozze, ma quelle di una volta.
Prima delusione. Spaventosa. Harry ha 37 anni: trentasette? E tutta la sua giovinezza, ce la siamo persa? Lavora al Ministero della Magia: tutte quelle avventure, quelle sofferenze, quegli entusiasmi, quei pericoli di vita superati, solo per finire a fare l’impiegato? Ma peggio di qualunque altra cosa, il suo secondogenito su chiama Albus Severus, Severus come Python, come il traditore, quello che ha ucciso il Mago per eccellenza, il Grande Padre Magico? Ma basta con gli spoiler. Giuro. I miei allievi li odiano.
Solo questo e poi chiudo. L’autrice – d’accordo con i suoi due collaboratori – ha una sola intenzione: non farci mai sentire al sicuro, mai.
Il libro fin dall’inizio è pervaso di malinconia. E da un senso del tempo struggente, quasi logorante. Il sentore di una giovinezza che è passata. Lasciando solo problemi. E guai. Come appare spesso la vita dopo i trent’anni, quando i figli non ti somigliano e tutto sembra diverso da come lo avevi immaginato, di solito peggiore.
J.K. Rowling mostra di volersi liberare dei residui bamboleggianti che offuscavano (solo in parte) la sua saga; nel frattempo ha scritto libri “per grandi”, si sente cresciuta, e sente che quel mondo costruito con immaginazione sorprendente è cresciuto a dismisura insieme a lei, ed è un mondo adulto. Per una volta ci sentiamo avversari di Harry, parteggiamo per qualcun altro: crescere significa anche questo, “la maturità è tutto”, diceva Shakespeare, e proprio a lui, perfino a lui, parrebbe essersi ispirata la Rowling. Il cinquecentenario ha fatto sì che il suo nome fosse fin troppo citato, ma Shakespeare è proprio uno dei numi ispiratori della forma di questo nuovo libro, perché è teatrale, anzitutto, ma non solo. La grandezza insuperabile del drammaturgo consisteva nel costruire un’azione scenica che non ammettesse scene inutili, di passaggio, collegamenti, ponti: anche in Harry Potter e la maledizione dell’erede tutto questo è eliminato. La forma della pièce (o del copione) permette di concentrare l’azione in scene anche staccate, ma tutte insuperabilmente utili, anzi essenziali, alla tessitura della tensione narrativa, che è sferzante.
E forse come in Shakespeare, al fondo della sua estrema complessità, c’è un solo desiderio, un unico miraggio: riportare in vita la giovinezza perduta. E con lei la sua innocenza, l’affrancamento dalla corruzione. È ciò che accade al termine della Tempesta: l’amore nuovo può decretare conclusa la missione del mago e porre fine a tutti gli incantesimi.
J.K. Rowling, Harry Potter e la maledizione dell’erede, Milano, Salani, 2016, 357 pagine, 19.80 euro
Diego Malaspina