Ho avuto tutte le malattie. Tutte. E sono ancora qua. In questo appartamento in affitto che non posso più nemmeno pagare, visto che non posso lavorare e visto che la mia misera pensione basta appena a comprarmi da mangiare. Il padrone di casa, però, è buono e comprensivo, mi ha detto Signora mi dia quello che può! E io facendo sacrifici enormi riesco a racimolare qualche centinaio di euro che invio tutti i mesi per bonifico. Ho cominciato ad ammalarmi a 50 anni, ero già tornata da Francoforte dopo la separazione difficile e feroce da mio marito. Lo avevo tradito con un cameriere e lui mi aveva accusata di tutto, abbandono del tetto coniugale, abbandono di minori, violenza e furto dei soldi della cassa del ristorante che gestivamo insieme in città. I giudici erano stati impietosi con me, non me ne avevano fatta passare una, avevano affidato mio figlio, che all’epoca aveva 12 anni, a suo padre. Giuliano, il mio bambino, era stato così plagiato dal papà che quando l’andavo a prendere si nascondeva per non venire con me. Sconfitta su tutti i fronti ero tornata a Milano, dove avevo trovato da lavorare in un ottimo ristorante in centro, cucinavo bene e i titolari e i clienti mi facevano i complimenti. Nonostante tutto, erano stati anni belli, mi era sembrato di ricominciare, avevo affittato questa casa con due camere da letto, un tinello e una cucina abitabile nella speranza che prima o poi Giuliano venisse a vivere con me. Ma niente, di Giuliano neanche l’ombra, tornavano indietro le lettere che gli spedivo una volta a settimana, si rifiutava di venire al telefono quando lo chiamavo. Piangevo e mi disperavo, ma ad un certo punto avevo smesso di scrivere e di telefonare e mi ero immersa nella mia nuova vita. Quando tutto sembrava andare meglio, una mammografia al seno aveva rivelato l’esistenza di una formazione tumorale. Ricoverata d’urgenza, asportazione della mammella, chemio e radioterapia. Per rimettermi in piedi ci avevo impiegato un anno, i titolari del ristorante per cui lavoravo erano stati umani, mi avevano conservato il posto. E da lì avevo ripreso. Dopo un paio di anni di vita più o meno tranquilla, delle strane macchie sulle mutandine mi avevano fatto prenotare una visita ginecologica. Diagnosi di tumore all’utero al terzo stadio, asportazione dell’apparato genitale comprese le ovaie. Avevo fatto sei mesi di chemio e anche stavolta mi ero ripresa benino, ma non potevo più lavorare, il lavoro di cuoca è faticoso. I padroni del ristorante erano stati generosi, mi avevano dato due anni di stipendio e avevano versato i contributi per arrivare alla pensione. Quando avevo cominciato a dimenticare gli ospedali e le terapie a una visita di controllo si scopre che c’è un tumore alla vescica, asportazione immediata e deviazione con un sacchetto per la pipì.

Un vero disastro, ma nonostante tutto continuo a vivere, due anni fa mi hanno diagnosticato il Parkinson, il mio corpo trema e i miei movimenti sono rigidi. Non esco più e non riesco quasi più a camminare per casa. Cado almeno una volta al giorno e non riesco a rialzarmi da sola. Per fortuna, sotto casa mia abitano Angela e Gertrude, due donne molto sensibili e attente, a una delle mie prime cadute e al relativo tonfo sulle loro teste, erano salite di corsa e avevano suonato al campanello chiedendomi come stavo, io era riuscita a trascinarmi fino alla porta d’ingresso e avevo aperto. Certo, lo spettacolo che le si era parato davanti non era esaltante, una vecchia seminuda con un sacchetto pieno di pipì al fianco che tremava, ma loro non si erano scoraggiate, mi avevano alzata e si erano informate su ciò che mi succedeva. Mi avevano fatto mille domande e si erano messe in contatto con gli assistenti sociali. Sono riuscite a farmi avere una piccola pensione d’invalidità e a far venire una volta a settimana per due ore una signora pagata dal Comune. Io continuo a cadere, cado molto facilmente, basta un minimo movimento sbagliato per perdere l’equilibrio e caracollare. Quando sentono il tonfo Angela e Gertrude salgono a rialzarmi, a un certo punto ho dato loro le chiavi di casa, mi è sembrato più comodo per tutti. Angela e Gertrude quando possono si occupano di me, mi fanno la spesa, mi accompagnano in ospedale a fare le visite, mi portano quasi tutte le sere la cena calda. Quando vanno in vacanza mi dispero e sento tutta la mia solitudine. Di Giuliano non so più niente, non lo sento e non lo vedo da venticinque anni.