Design: non basta la parola


Design è parola di moda. Design qualifica cose e persone, basta la parola. A una superficiale lettura design corrisponde alla forma – carina, bella, audace o iconica – e alla contemporaneità.

Beh, questo design mi annoia! A volte addirittura mi infastidisce, perché limita il senso profondo del design che è quello di progettare: progettare mondi possibili, visioni, utopie. E per fortuna ci sono esempi virtuosi che mi affascinano. Tante piccole o grandi esperienze che ribollono nel mare magnum del design. A volte ingenue, a volte pretenziose, di successo o fallimentari sono le sperimentazioni che stanno realmente delineando il nostro prossimo futuro.

Suzanne Lee

Penso alla Biocouture di Suzanne Lee che da alcuni anni ‘fa crescere i vestiti’ grazie alla cellulosa batterica. Fallita la Biocouture, impossibile attualmente da industrializzare, continua la sua esperienza come art director con Modern Meadow, azienda statunitense che sviluppa materiali a partire dal collagene.

Penso a Natsai Audrey Chieza che indaga gli organismi viventi per un futuro sostenibile. La biologia sintetica a servizio dell’industria. Sì, perché non si tratta più di ricerche scientifiche da laboratorio, ma di progetti su scala industriale per produrre pelle da funghi (Stella McCartney è stata la prima stilista a utilizzare il Mylo, materiale realizzato attraverso la combinazione delle cellule di micelio con un substrato di gambi di mais e nutrienti, per la sua borsa Falabella), colorazioni generate da antibiotici e controllate da sofisticati strumenti tecnologici. La biofabbricazione.

Penso a Neri Oxman che al MIT di Boston con un gruppo di lavoro ampio e trasversale ha sviluppato una struttura autoportante generata dai filamenti dei bachi da seta secondo una metodologia computazionale.

Penso a Maurizio Montalti, fondatore di Officine Corpuscoli, che ha creato MOGU un progetto industriale, un materiale sempre diverso a base di micelio, l’organismo fungino; quei micro filamenti che si sviluppano in strutture complesse e trasportano sostanze nutritive. Un esempio, gli stivali marziani sviluppati per la mostra del MoMA, Items: is fashion modern?, ideata da Paola Antonelli.

E penso appunto a lei, Paola Antonelli, responsabile per l’architettura e il design al Museum of Modern Art di New York, a cui è stata affidata la cura della XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano del 2019.

Broken Nature. Design Takes on Human Survival il titolo dell’ambiziosa esposizione che riconosce una precisa responsabilità al design, quella della sopravvivenza umana e della natura. L’evento raccoglie – uso il presente perché il sito brokennature.org è già ricco di testimonianze, scritti, video e immagini – esempi di design in grado di riparare e di ricostruire i legami della nostra specie con l’ambiente naturale: “da oggetti a edifici, da interfacce a infrastrutture e città, su scale diverse e dimensioni multiple, dal cosmo al microbioma, teorie e pratiche che suggeriscono strade plausibili e concrete per agire attraverso il design”.

In attesa dell’apertura della XXII Esposizione Internazionale il 1 marzo 2019, potete guardare i video del simposio tenutosi il 19 giugno scorso

 

http://www.brokennature.org/public-symposium-june/

 

buona visione

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