… sarebbe lei, Marie-Louise Fuller, in arte Loïe Fuller (1862-1928). La ricorda anche Antonia S. Byatt nel Libro dei bambini, quando i protagonisti vanno all’Esposizione Universale per ammirare “la fata della luce”, quella creatura bassa e miope che grazie a un paio di bacchette (magiche), una veste fluttuante e un accorto gioco di illuminotecnica – da lei stessa inventato – si trasformava in fiore iridescente, pura energia dinamica, farfalla dalle ali troppo grandi, come l’albatro di Baudelaire, così consustanziale al proprio volo da non riuscire a camminare sulla terra.
La vita difficile e la danza convulsa di Loïe Fuller sono ben illustrate in un film del 2016, ora nelle sale italiane: Io danzerò (La Danseuse), di Stéphanie Di Giusto, con Soko e Gaspard Ulliel. È un biopic che si ispira al libro di Giovanni Lista, Loïe Fuller, danseuse de la Belle Époque (1994, 2007). Ed è un film divertente, anche affascinante, pur con qualche difetto. Narra la storia dell’artista, dai soliti esordi complicati e arruffati al grande successo parigino, fino alle prime crisi che seguono sempre i trionfi, ancora giovane ma già piena di acciacchi. La sua stessa arte la consumerà, regalandole ansie multiple, dipendenze da etere e morfina, lesioni a muscoli e legamenti, infine la morte per cancro. Provocata, questa, pare, dal radio che utilizzava durante gli spettacoli, per rendere fluorescenti le sue ali di organza.
La ricostruzione è accurata, magari non sempre elegante ma suggestiva: vediamo Loïe sguazzare nei fanghi del selvaggio West, fra bovini e bovari, poi tra le grinfie di una madre bacchettona e bigotta, infine tra le braccia seriche e morbose di un bel conte dalle ricche case in America come a Parigi, e siamo solo all’inizio del film. Gli spazi in cui si muove sono fatiscenti, stupendi, e lei, la protagonista, si muove goffamente bene: è l’ammaliante Soko, bel fiore selvaggio che fu per breve tempo fidanzata nientemeno che con Kristen Stewart, e ho detto poco. Mi tocca anche citare una sua intervista rilasciata a Vanity Fair, perché le parole di saggezza contano sempre, qualunque sia il mezzo che le tramanda: “Non mi pongo mai il problema del sesso dei miei partner,” dice Soko, “né al cinema né nella vita, mi innamoro delle persone e basta. Faccio parte della nuova generazione, siamo liberati sessualmente, e non solo. La nostra è una forma di libertà che a volte sfugge. Che senso può avere essere donna o uomo, quando si ama?”.
Mi piace troppo pensare che loro due fossero insieme quando la Stewart recitava in un autentico capolavoro, Personal Shopper, con ruvida grazia tutta concentrata in un volto dolente e in una schiena splendidamente ingobbita. Quello sì è un film imparagonabile a Io danzerò, quello sì è privo di difetti. Una storia filmicamente magistrale che intreccia e supera i generi: racconto di fantasmi, ambientazione fashion, minuetto di sconfinate solitudini. Niente di estetizzante o compiaciuto, solo tagli netti, sceneggiatura d’acciaio e movimenti di macchina impeccabili; Kristen Stewart ha affinato la recitazione molto più di Soko, ma quest’ultima ha tempo e talento, il resto arriverà da sé e lo aspettiamo trepidanti.
Chi invece arriva come una patata americana in una serra di orchidee è la deuteragonista di Soko, Lily-Rose Depp. Anche se macrocefala, ed espressiva come una triglia in umido, la piccina si vede ultimamente un po’ dappertutto. Non c’è da stupirsi, perché il papà si chiama Johnny e la mamma Vanessa Paradis. Del primo, io personalmente non ho mai capito il fascino, ma troppe amiche ne vanno pazze per cui non si può metterlo in dubbio. Della seconda, che dire? Sinceramente, cosa si ricorda di lei se non quella canzoncina querula del
1987, Joe le taxi? E pochi ormai ricordano anche quella. Io sì, ma unicamente per il fatto che all’epoca avevo tipo 25 anni e a quell’età si fanno tanti errori.
Ora, mettiamo pure che sia figlia di due celebrità e che questo ormai basti a far curriculum, senza nessun tipo di obiezione. (Anzi, tutti a dire, i figli di, che loro poverini hanno sofferto più degli altri, sotto il peso di quei genitori ingombranti eccetera. Però quei papà e quelle mamme ve li hanno presentati, i produttori, stronzi!). Si può intuire che la presenza di Lily-Rose nel film sia stata imposta proprio dalla produzione. Ma, figliuola d’arte, interpreti Isadora Duncan, una delle danzatrici più famose di tutti i tempi, e a interpretare proprio quella danzatrice fu Vanessa Redgrave, nel film di Karel Reisz del 1968: vuoi informarti, di grazia? Vuoi chiedere a papà se magari se la ricorda? Vuoi smanettare un po’ sul tuo cellulare, per cercare almeno qualche fotogramma di quel capolavoro assoluto, e vedere come si recita la parte che si adatta a te, bella mia, come un abito di Chanel a una foca monaca?
Lily-Rose, segnata dal destino e da una scelta improvvida al fonte battesimale (il terzo nome è Melody), fa l’impavida. A studiare recitazione non pensa nemmeno, le scene di danza gliele gira una controfigura, e lei volteggia per tutta la seconda parte del film, impassibile e perfettamente inutile. Non un brillìo negli occhioni grandi, non una parola pronunciata con un qualunque afflato, non un gesto significativo, niente. Così poco dotata di presenza scenica, così svogliata nel fare il suo aureo mestiere, così sfacciatamente neghittosa, non può che essere destinata al successo
Massimo Scotti
Io danzerò (La Danseuse), di Stéphanie Di Giusto, lungometraggio (108 minuti). Francia 2016.