È cominciata l’attesissima Milano Design Week. Un’edizione che sembra voler cancellare gli ultimi due anni e non pensare a ciò che accade ora nel mondo e tanto meno nel prossimo futuro. La città brulica di eventi come forse mai, neanche nelle edizioni pre-covid (la pandemia sembra ridursi a spartiacque temporale più che a un monito); la città esplode di eventi, gente, traffico.
Sulle nostre teste, tutte, incombono problemi ormai urgentissimi che ci riguardano, tutti. A Milano però non si percepiscono né il pericolo, né l’impellenza. Allegria e meraviglia, saluti e baci, siamo tornati alla rassicurante bulimia di prodotti e immagini, di cocktail e feste che soverchiano le proposte più assennate (minoritarie, ma rilevanti).







Ancora poco ho visto, ma le prime impressioni sono queste. Il design è lo ‘smemorato di Milano’ e questo è grave, proprio perché il design ha una responsabilità enorme, abbraccia vari settori, li dirige strategicamente in progetti per l’individuo, ma anche per la collettività, senza mai dimenticare la sostenibilità ambientale. O così dovrebbe essere. Penso al “design @large” di cui scrive nell’omonimo magazine online Laura Traldi, o alla “Design Emergency” che raccontano Paola Antonelli e Alice Rawsthorn nel libro edito da Phaidon con l’eloquente sottotitolo Building a Better Future.
Ma il Salone è appena cominciato e spero di poter sconfessare queste prime personalissime impressioni!
Diletta Toniolo