I racconti delle scale – 103 mq


Ho quindici anni e abito in questa casa da quando sono nata. I miei genitori sono insopportabili. Sono vecchi, ossessivi, ansiosi e rompiscatole. Loro non mi capiscono e non mi capiranno mai. Resto chiusa nella mia stanza per ore, per giorni, faccio finta di studiare o di dormire. Ma in realtà gioco a Fortnite, gioco a Fortnite tutte le volte che posso, non riesco a staccarmi, è più forte di me, mi prende, mi rapisce. Fortnite è un’isola, è la mia isola, il mio momento di bellezza e di purezza. Con Fortnite assieme ad altri salvo il mondo, con Fortnite imparo a sopravvivere, a difendermi, a escogitare piani, modi e strategie per restare in piedi, vivere e salvarmi. Mio padre e mia madre mi sgridano, mi sequestrano il telefonino, mi nascondono il computer ma io adoro Fortnite, non mi fa pensare. Non mi fa pensare ai professori e al senso di fallimento che provo tutte le volte che mi interrogano, non mi sento mai all’altezza della loro conoscenza, non mi sento mai preparata abbastanza. Non mi fa pensare ai miei genitori, alle loro regole assurde, alla loro violenza nell’impormele, alla loro vita meschina e ansiogena, ai loro ritmi senza senso, alle loro parole ottuse, ai loro occhi pieni di delusione e rabbia. Non mi fa pensare a tutti i giorni che dovrò vivere, a tutte le cose che dovrò fare da grande, a tutti gli impegni che dovrò assumermi, alle responsabilità, il lavoro, i figli. Tutte quelle cose che dicono i miei, quelle rare volte che riescono a beccarmi. Attaccano con la loro tiritera infarcita di ai miei tempi, ripiena di quando ero giovane io, alla tua età avevo già fatto mille cose. Ed è sempre la stessa storia. Mia madre si lamenta perché ha troppo da fare, dopo il lavoro in ufficio le tocca sistemare casa, lavare, cucinare, rassettare. Perché nonostante venga Mary, una ragazza filippina molto simpatica, a pulire casa, mia madre non è mai contenta, dice che è l’occhio del padrone che ingrassa il cavallo, che Mary pulisce in maniera superficiale il nostro trilocale più cucinotto, bagno padronale e doppio servizio. Insomma, non è mai contenta. Dice che è tutto sulle sue spalle che mio padre se ne frega e che oltre ad occuparsi di noi deve pensare a nonno Oscar, che è rimasto solo dopo la morte di nonna Matilde e che siccome lei è figlia unica, deve fare tutto lei. Dalla mia stanza la sento lamentare quando rientra dall’ufficio, sbatte la porta e sbuffa, appoggia la sua 24 ore sul mobile dell’ingresso e sbuffa, va in camera da letto a spogliarsi del suo tailleur e sbuffa, indossa le ciabatte e la tuta da casa e sbuffa e si lamenta.  Mio padre invece ha sempre qualcosa da ridire sui suoi colleghi e sui suoi capi, sono tutti pelandroni, non lavorano abbastanza, sono sempre in ferie, nessuno capisce il suo valore, tutti approfittano della sua bontà, tutti sfruttano la sua buona volontà. Dalla mia stanza lo sento lamentare quando rientra dall’ufficio, sbatte la porta e sbuffa, appoggia la sua 24 ore sul mobile dell’ingresso e sbuffa, va in camera da letto a spogliarsi del suo completo giacca pantaloni e sbuffa, indossa le ciabatte e la tuta da casa e sbuffa e si lamenta. Loro non sorridono mai, non si parlano mai, si chiedono come è andata al lavoro, ma nessuno dei due ascolta la risposta dell’altro. Si aggirano per casa, annoiati e stanchi, mio padre fa finta di mettere a posto, ma appena può si sdraia sul divano a guardare la TV, mia madre telefona a nonno Oscar e tutte le sere fa le stesse domande: Hai mangiato? Hai preso le medicine? Sei uscito a fare due passi? Nessuno sorride, nessuno è allegro, è come se ognuno di loro avesse voglia di scappare e non riescono a farlo, per paura, per abitudine, per solitudine. Questa casa è così estranea a noi, così distante e bugiarda. C’è tutto, ogni comodità, la cucina con tutti gli elettrodomestici, compresa l’asciugatrice, la camera da letto con il materasso in lattice, il divano a tre posti più isola per starci tutti, anche quando viene nonno Oscar, il televisore home theatre, c’è tutto ma nessuno ci sta comodo. Anche la mia stanza non è mia, hanno scelto tutto i miei genitori, il rosa delle pareti che odio, i mobili modello Holly Hobby, i tendaggi a grandi righe bianche e rosa, le stampe con i personaggi dei Peanuts che non mi piacciono. È una galera, è una prigione, è il mio nido, è il mio rifugio. Resto sdraiata sul letto sperando che tutto cambi, che io diventi grande e indipendente, che i miei genitori smettano di lamentarsi e mi sorridano, che entrino in stanza allegri e si mettano a giocare con me.

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