Keith Haring mi piace, mi è sempre piaciuto. Mi piacciono i suoi occhiali rotondi e la sua bella faccia da ragazzo sincero, mi piace la sua storia, mi piace la sua arte. Sono belli gli omini con il cuoricione, il bambino carponi, il cane con il muso quadrato. Tutti lo conoscono e i suoi lavori sono nell’immaginario collettivo mondiale. Keith Haring è popolare, amato e riconosciuto. Ci appartiene, appartiene ai nostri tempi. Insieme al volto di Che Guevara, alle frasi di Jim Morrison e alle zuppe di Andy Warhol, le figurine di Keith Haring sono sulle t-shirt, le tazze e le spillette di mezzo modo. Nonostante sia spesso etichettato come un artista “leggero”, Keith Haring ha portato avanti un discorso sociale e politico di grande forza, il suo obiettivo era portare l’arte a contatto con più persone possibili. La sua opera così apparentemente semplice, non è superficiale e non è per nulla “ignorante”, Haring aveva guardato, studiato e metabolizzato l’arte che lo aveva preceduto Picasso, Matisse, Debuffet. Pollock ecc. La mostra a Palazzo Reale di Milano rende il senso profondo e la complessità della ricerca del ragazzo di Pennsylvania e mette in luce il rapporto di Haring con la storia dell’arte. L’esposizione sviluppa un percorso che per la prima volta accosta le rappresentazioni pittoriche, i graffiti e i video delle performance di Haring a opere che hanno rappresentato gli stimoli creativi del suo personale immaginario, provenienti dalla tradizione classica, tribale e pre-colombiana, passando dal Rinascimento per arrivare fino all’arte del ‘900. 110 opere esposte che raccontano di un artista responsabile e impegnato che si sentiva come un anello di una catena “ Io non sono un inizio. Non sono una fine. Sono l’ anello di una catena. La robustezza della catena dipende dai miei stessi contributi, di quelli che vengono prima e dopo di me”
Dal 21 febbraio al 18 giugno
Palazzo Reale Milano
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