Non intendo pubblicizzare alcunché. Benché non lo voglia neanche negare. Ovvero, il 29 marzo, presento alla libreria Open di Milano (www.openmilano.com), con Francesca Vecchioni e la giornalista-scrittrice Annarita Briganti, la mia seconda raccolta di poesie, “Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti”, raccolta uscita presso Mimesis Edizioni (http://mimesisedizioni.it/metafisiche-insofferenti-per-donzelle-insolenti.html) da pochi mesi. Vi è la collaborazione della “Rete Lenford” (http://www.retelenford.it/) e di Diveristy Lab (http://www.diversitylab.it/sito/) . Viste tali collaborazioni e lette le mie poesie ultime, il tutto ha fatto pensare a parecchi/e di chiedermi, non delle poesie, bensì se sono lesbica o no. Avrei riposto: e tu sei etero o no? L’educazione non me lo ha concesso.
In realtà, chi è colto ha da subito minimizzato la superficie lesbica delle poesie, per cogliere il problema umano del dolore, di chi si deve nascondere, di chi è perseguitato. E poi, essere lesbica non comporta di necessità scrivere un volume di poesie a matrice lesbico o un volume a favore del matrimonio omosessuale, come ho peraltro già fatto. C’è chi comprende ciò e c’è chi non lo comprende. C’è chi ha letto libri o chi non l’ha fatto. L’omofobia nasce assai spesso da vedute troppo ristrette.
So che le voci corrono sul mio orientamento o sulla mia preferenza sessuale. Me ne dovrebbe importare? Direi, piuttosto, di lasciare che le voci debordino pure, dato che, in quanto filosofa, nutro i miei dubbi sul fatto che un individuo umano possa venire ridotto a un’unica delle sue appartenenze. Tutti e tutte noi presentiamo parecchie appartenenze: a importare non è certo unicamente il nostro orientamento o la nostra preferenza sessuale, bensì pure la nostra storia privata e pubblica, la nostra “razza”, la nostra classe sociale di provenienza, la nostra cultura, il nostro essere religiosi, agnostici o atei, l’età, l’educazione, la scolarizzazione, e via dicendo, con i modi specifici che ognuno di noi interpreta tali appartenenze e/o vissuti.
Ipotizziamo, per amor dell’argomentazione, come fa, per esempio, Platone (che, tra l’altro, in filosofia non sopporta l’intrusione della poesia), che io sia lesbica. Cosa ne seguirebbe? Secondo Monique Wittig, nel suo volume dal titolo inequivocabile, The straight mind,
« (…) sarebbe scorretto dire che le lesbiche si associano, fanno l’amore, vivono con le donne, perché “donna” ha un significato solo nei sistemi eterosessuali di pensiero e nei sistemi economici eterosessuali. Le lesbiche non sono donne».
Cosicché, sempre da filosofa, mi sono diverse volte domandata chi sono le donne. Donne da proteggere, spesso, da loro stesse e dai lori limiti di “modelle” in ogni senso del termine? O donne che non esistono? O, comunque, donne pur sempre e maledettamente subordinate?
Come scrive crudamente, e, a mio avviso, con verità intrinseca ed estrinseca, Catharine Alice MacKinnon, avvocato, femminista radicale e attivista, poco conosciuta da noi, in quanto “sconveniente”, eppure notissima al mondo (e, non traduco l’inglese, poiché incisivo):
«We define pornography as the graphic sexually explicit subordination of women through pictures and words that also includes (i) women are presented dehumanized as sexual objects, things, or commodities; or (ii) women are presented as sexual objects who enjoy humiliation or pain; or (iii) women are presented as sexual objects experiencing sexual pleasure in rape, incest or other sexual assault; or (iv) women are presented as sexual objects tied up, cut up or mutilated or bruised or physically hurt; or (v) women are presented in postures or positions of sexual submission, servility, or display; or (vi) women’s body parts—including but not limited to vaginas, breasts, or buttocks—are exhibited such that women are reduced to those parts; or (vii) women are presented being penetrated by objects or animals; or (viii) women are presented in scenarios of degradation, humiliation, injury, torture, shown as filthy or inferior, bleeding, bruised, or hurt in a context that makes these conditions sexual».
In un qualche senso, si potrebbe ragionare come segue: possibile che, buone argomentazioni filosofiche, ci conducano infine a ponderare l’idea che il saffismo costituisca una scelta umana per evitare la pornografia alle donne.
Vorrei citare un caso, che considero spaventoso, ancor oggi da denuncia, ma a cui in pochi e poche hanno prestato attenzione: il caso è quello di Maria Schneider, diventata celebre, a soli vent’anni, in Ultimo tango a Parigi, di Bernardo Bertolucci. Soprattutto, però, in virtù di una scena di rapporto anale con Marlon Brando. “Peccato” che lei non fosse stata avvisata. Vita la sua devastata, da ciò, come, dopo il necessario silenzio, ha avuto più volte da dichiarare, pur sommessamente. Però, comprende subito e dichiara la sua bisessualità, che probabilmente era omosessualità. Si rifiuta nel 1976 di girare scene di nudo, nel corso delle riprese di Caligola, e la produzione che fa? La licenzia per tale suo rifiuto. Invece di approvarne il coraggio. A seguire, il tipico percorso della persona che non sottostà ai maschilismi: ospedali psichiatrici, tossicodipendenze, tentativi di suicidio, ma anche amici e amiche, rari e rare, che nel frattempo non sono scomparsi/e. E’ morta a 58 anni e sono andata a trovarla a Parigi al cimitero.

Un suo percorso, diciamo, opposto, a quello di Jodie Foster. Per la sua notorietà e al contempo la sua estrema riservatezza. Per la sua cultura. E’ della mia generazione, un anno più, un anno meno. Grande attrice e registra, e con grandi studi universitari – cosa inconsueta in certi ambienti. Da quanto ne so, non si fa doppiare né in francese, né in italiano, lingue appunto che ha perfezionato durante i propri studi universitari. Ha due figli. Sono girati molti gossip sulla vita privata. Solo di recente, non senza ironia, ne ha fatto pubblicamente cenno, nel ricevere pochi anni orsono un Golden Globe alla carriera: «Ho fatto coming out mille anni fa, all’età della pietra, in quei giorni molto pittoreschi, in cui una fragile ragazza si aprì agli amici fidati, alla famiglia e ai colleghi di lavoro», definendo al contempo Cydney Bernard, un’eroica co-genitrice, l’anima giusta della vita. E poi? Sempre nella riservatezza, convola a nozze con Alexandra Hedison. Oltre Jodie Foster? Tilda Swinton e Vanessa Redgrave, per fare due nomi inglesi, il cui orientamento sessuale non mi interessa. Mi interessa, invece, che siano tutte attrici colte, e sul fronte comunista, e Tilda ci rimanda a Virginia con la sua magistrale interpretazione in ‘Orlando’. E io, in fondo, vado ancora in cerca del circolo di Bloomsbury, of course, della rivoluzione erudita, esplicita, esplicitata.
Forse, perché ero londinese. Si lavorava bene e non avrei mai pensato di rientrare in Italia. Poi mia madre giovane è improvvisamente morta. Io definita allora la punta di diamante della filosofia. Cosa potevo fare? Comunque ora di nuovo pronta per partire. Le offerte non scarseggiano. E le genovesi davvero in gamba sono veliste, mentre nei porti si sosta per ripartire. Del resto, l’Italia non è forse un popolo di poeti e navigatori? Ecco, non lo vorrei un paese ridotto al gossip, né sulle mie poesie, né sulla mia sessualità.
Nicla Vassallo