Non voglio toccare i santi. La storica e filosofa Hannah Arendt ha detto tutto ciò che era possibile sulla banalità del male e sui “banali” individui che inseriti all’interno di un meccanismo infernale esercitano il male. Ma voglio scrivere le impressioni che mi ha suscitato la visione del film “La zona di interesse” di Jonathan Glazer, presentato a Cannes nel 2023 e pluricandidato agli Oscar, tratto dal bellissimo libro di Martin Amis.
Il film è la fotografia di un interno alto borghese. Una casa efficiente ed organizzata con una mamma che culla il bambino più piccolo, un giardino paradisiaco con piscina dove i bimbi e i ragazzi più grandi giocano, si rincorrono, si beffeggiano, un papà comandante di un lager per cui è necessario ottimizzare e valorizzare i risultati, è indaffarato e stanco, ma presente nelle feste di famiglia e nelle gite al fiume, una nonna che viene in visita e che si complimenta con il genero e la figlia per la vita da sogno che hanno creato attorno a loro, uno stuolo di camerieri e giardinieri ossequiosi e attivi che si muovono silenziosi tra le camere, i corridoi, i prati curati della rigorosa, ma comoda villetta degli Höss.




È tutto normale, normale routine di una vita agiata e con tutti i comfort. Sono normali le chiacchiere della mamma con le amiche, sono normali le riunioni del papà con fornitori che propongono macchinari innovativi, sono normali gli auguri che i sottoposti porgono al loro capo nel giorno del suo compleanno. Ciò che non è normale è che il muro che divide questo paradiso con il resto del mondo è l’alto muro di cinta sovrastato dal filo spinato che delimita il campo di concentramento di Auschwitz, ciò che non è normale è che Rudolf Höss, così si chiama il capofamiglia, sia un membro delle SS, comandante del campo, che esca tutte le mattine con l’obiettivo di sterminare più persone possibili, non è normale che la cenere che il giardiniere distribuisce sul terreno sia ciò che è rimasto di migliaia di ebrei polacchi, omosessuali, dissidenti gasati e poi bruciati, non è normale che Hedwig, la moglie del comandante, insegni alle amiche i trucchi per scovare diamanti e preziosi nascosti dagli ebrei nei modi più fantasiosi, o si provi davanti allo specchio una pelliccia la cui fodera macchiata di sangue va cambiata, così come ordina alla serva. Jonathan Glazer racconta in modo chiaro, nitido, luminoso la vita spensierata dentro la villa, una vita senza lati oscuri se non ci fossero le ciminiere, ogni tanto inquadrate, che fumano resti umani, se non ci fossero i bambini che giocano con i denti d’oro dei deportati, se Hedwig non ridesse e non fosse felice di essere nominata “la regina di Auschwitz”. Normalità è il rumore assordante, non sentito più dalla famigliola, di disturbo solo allo spettatore che si sente annientato sulla sua poltrona con le spalle appiccicate allo schienale, un fragore disumano presente in ogni scena del film, un suono sovrastante che è mille altri suoni: grida umane, spari, latrati di cane, marce notturne, cancelli aperti e chiusi, ingranaggi che stridono, tonfi improvvisi. Un fracasso costante che è protagonista della pellicola come Höss e la sua famiglia. Lo stesso medesimo rumore che neanche noi sentiamo più, noi con i nostri terrazzi perfetti con le piante coperte da teli contro le intemperie mentre nel canale di Sicilia annegano uomini, donne, bambini, noi che alziamo muri per ripararci dalla povertà e dalla fame altrui e poi scartiamo i nostri avanzi in campane gialle di pietà, noi che con le nostre settimane bianche sciamo su neve finta e dimentichiamo che il cambiamento climatico trasforma e trasformerà la nostra terra cancellando interi stati e popolazioni, noi che facciamo girare sui nostri contatti petizioni da firmare per fermare la guerra, ogni guerra tutte le guerre combattute sul nostro pianeta e, infine, noi che postiamo le stories dei nostri week end assieme ad un repost sulla morte del dissidente russo Navalny, assieme all’extraterrestre di Ghali, assieme a una festa di compleanno dell’amico carissimo, assieme alla bandiera palestinese, assieme alla foto di un tramonto, assieme alle foto della bandiera ucraina. Ecco, il film di Glazer mi ha fatto riflettere sulla mia normalità, sulla normalità della nostra civiltà, sulla normalità della nostra cieca sorda muta banalità.
Anna Chisari