Sono stata assente, è esattamente un anno che non pubblico articoli su questo blog. Sono stata silente e misteriosa, non ho commentato i tanti fatti del 2023, non ho espresso pensieri e opinioni. Niente sul blog. Niente sui social. Niente foto di viaggi e viaggetti. Niente video di mostre e spettacoli teatrali. Niente tramonti infuocati e niente spiagge misteriose e deserte. Qualche post qua e là sulla pagina Facebook, qualche story su Instagram niente di più. Il mio 2023 è passato. E’ passato sulla mia pelle. E’ passato sulla pelle di chi mi ama. Il mio 2023 è stato l’anno della cura, ho dovuto curarmi, mi sono riammalata, il tumore è tornato, nonostante anni di chemio, nonostante il trapianto autologo delle mie cellule staminali. E’ tornato una mattina di settembre, sotto le ascelle ho sentito due ponfi, dei gonfiori sospetti, un avviso che temevo, una novità che non aspettavo. E di nuovo la diagnosi “Linfoma non hodgkin” recidivo. Unica possibile cura è il trapianto di midollo da donatore. “Non c’è altro da fare” dice il mio oncologo che ostenta sicurezza e nasconde il dispiacere e la delusione dietro le lenti dei suoi begli occhiali. “C’è altro” aggiunge “il meningioma al cervello che avevamo individuato 5 anni fa è aumentato di volume, devi fare una risonanza magnetica e farti vedere da un neurochirurgo, secondo me, dovrai operarti prima di fare il trapianto e in più da lunedì dovrai iniziare un ciclo di 20 sedute di radioterapia sui linfonodi ingrossati, cerchiamo così di bloccare la malattia e farti arrivare più pulita possibile al trapianto che non sarà una passeggiata.” Fuori dallo studio del medico con mia moglie ci guardiamo negli occhi, ci abbracciamo forte, ci diciamo parole incoraggianti. Torniamo a casa in taxi, restiamo in silenzio, approfittiamo della presenza del taxista e del luogo pubblico per non parlare e così dare sfogo ai pensieri di paura e di disperazione che assalgono e demoliscono i pensieri di serenità allegria divertimento e spensieratezza.




Davanti a me si stendono giorni di ospedali, medici, infermieri, visite ed esami. Davanti a Diletta si stendono giorni di ansia, di angoscia, di attese. Conosciamo quello che ci aspetta lo abbiamo già vissuto. Ore sfinenti in sale d’attesa gremite di malati altrettanto spaventati, settimane che volano tra una esame e l’altro, mattinate passate al telefono con musichette improbabili nelle orecchie e ripetitori automatici che ripetono (appunto) lo stesso messaggio ogni 5 minuti, operatrici gentili ed efficienti che riescono a fissarti l’appuntamento con lo specialista richiesto dopo almeno 6 mesi dalla data che tu hai indicato, ma che se scegli di fare la visita intramoenia il medesimo medico può vederti domani alle 14.30. Un flusso ininterotto di stop and go, di timori e fiducia, di giorni sospesi e di giorni pieni di apprensione, di risonanze magnetiche pagate 570 euro perchè non si trova posto, di PET pagate 1500 euro nonostante l’urgenza che il medico ha apposto e da cui dipende il tuo incerto futuro di paziente. A metà marzo saluto il mio ufficio e le mie colleghe commosse, preoccupate e sorridenti (lo fanno per incoraggiarmi), comincio le sedute di Radioterapia. Da casa mia per raggiungere l’ospedale devo prendere tre mezzi pubblici, divento così la pendolare della salute. A fine aprile con i risultati della risonanza magnetica fisso una visita con il neurochirurgo che ho scelto. E’ un uomo giovane, serio, preciso, pragmatico, allo schermo mi fa vedere il paterozzo dentro il cervello, lo circoscrive con il cursore. Dice: “Questo è il suo meningioma cresce di 2mm all’anno, quando si ingrandirà potrebbe procurarle grossi danni. E poi la relazione del suo oncologo è chiara, per fare il trapianto lei deve essere pulita da qualsiasi cosa possa essere d’intralcio, farò l’intervento intorno alla seconda metà di maggio. Il mese di maggio penzola tra la telefonata di un numero sconosciuto e la ricerca di pigiami nuovi e mutande bianche, come vuole la legge ferrea imposta da mia madre che vuole biancheria intima immacolata e vergine per visite, operazioni chirurgiche, morte. L’intervento si svolge il 1 giugno, passo una notte in terapia intensiva. Sono sofferente, non vigile, sotto osservazione, tubi e computer segnano i miei stati vitali, ignara vomito per tutta la notte nelle mani di una giovane infermiera asiatica. Diletta e le amiche trascorrono tutto il pomeriggio, tutta la sera e parte della notte senza sapere che fine avessi fatto io, nessun medico e nessun infermiere le ha informate sul mio stato, vagano sole e angosciate lungo corridoi deserti e poco illuminati tra pensieri di morte e funerali, lampi di traballante speranza. Torno a casa con un cappello di garza, ematomi sull’occhio e la guancia sinistra, uno sbrego e 55 punti dal centro della testa fin sotto all’orecchio. Convalescenza un mese circa, mi tolgono i punti tra due settimane, risonanza magnetica e visita di controllo il 5 luglio. Per festeggiare la buona riuscita dell’operazione io e Diletta organizziamo una festa a casa è la “Festa della Spuntata”, che poi sono io, gli amici accorrono, sono tutti contenti di vedermi in buono stato!





La caldissima estate del 2023 mi vede boccheggiante e in attesa del donatore di midollo che arriva velocemente. Ci siamo. Sta per succedere. L’ematologo dell’ ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove mi sottoporrò al trapianto, ha un aspetto autorevole, paterno, gentile. In modo semplice e professionale mi spiega cosa mi succederà, durante la lunga visita, mi guarda con occhi umani e comprensivi e alla fine mi dice: “Facciamo tutto questo per farla guarire, questo è l’unico scopo che abbiamo” Il giorno del ricovero arriva e con esso arrivano le chemio, la lunga e isolata degenza, le amiche che mi salutano con le mani da fuori, me malferma sulle gambe che ricambio alla finestra della stanza sterilizzata, frequentabile solo da Diletta bardata di camice, cuffia, calzari, guanti sterili e mascherina ffp2. Sono giorni difficili e infiniti, di sofferenza, dolore e delirio. Tutto è importante, niente è importante, voci, pianti, lacrime, sussuri, poesie, dolcissimi messaggi, si incrociano dentro di me e mi sorpassano. Ricordo solo i medici, solo gli infermieri, solo Diletta che si allontana nel parcheggio al tramonto dopo le tre ore di visita e la lettura ad alta voce del libro di Ammaniti (non lo abbiamo mai finito e forse non lo finiremo mai) Sono passati 130 giorni dal trapianto, sono a casa. Non è finita. Tutto in me è delicato e fragile. Ma sono viva. Sto scrivendo. Ho visto il nuovo anno. Il 2024 è l’anno della speranza e della ripresa.









P.S. Conosco tutti i dolori del mondo e i pericoli che corre l’umanità. Spero per il mondo. Spero per l’umanità!
P.S.1 In ospedale ho conosciuto persone bellissime con cui mi sento mi scrivo mi vedo! Con loro ho capito cosa significa essere sulla stessa barca.
Anna Chisari
Cara cara Annuzza…. che commozione leggere la tua storia… tristissima, e non parte di un romanzo.. con tutte quelle sofferenze! e continue incertezze… E credo che oggi ti senti sempre in un incerto ‘inbilico’… Non ho parole speciali e ottimistiche, ma fai benissimo a continuare a combattere! Sicuramente aiuta!!!! nel tuo quotidiano combattere. Per cui non mi stupirò di vederti tra un po’ di mesi in tranquilla ripresa!! E’ da molto che non vengo a Milano, in Ottobre ho avuto un altro ictus… ma lì è diverso, o ce la fai o no… adesso faccio riabilitazione… insomma ci sono! e così voglio pensare di te!!! Ti abbraccio mia cara!!! Stefano
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Mio caro Stefano, sono molto felice di leggerti, non è stato facile e non è facile, ma intanto sono qui, vivo una vita quasi normale e soprattutto ho ripreso a scrivere, sto scrivendo un altro romanzo e ho intenzione di finirlo, di pubblicarlo e vederlo nelle vetrine delle librerie. Naturalmente, non sapevo del tuo ictus, adesso come stai? Sei solo o c’è qualcuno che ti accompagna nel processo di guarigione? Pensiamoci tanto, bene e allegri come in una lontana Pasqua a pranzare e brindare sotto il nespolo del nostro cortile. Ti abbraccio e scriviamoci.
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