La Fuliara. Storia di una Maledizione


L’intervista a IO Donna all’ autrice Anna Chisari

Da una settimana è uscito il mio nuovo libro “La Fuliara. Storia di una Maledizione” edito da Garzanti.

Rossana Campisi giornalista di IO Donna supplemento settimanale del Corriere della Sera mi ha intervistata. Ecco cosa ci siamo dette.

La “Fuliara” è una donna che vive da sola con ísuoi gatti, usa le erbe per curare la gente del paese, e si fa i fatti i suoi. Il suo vero nome è Donna Lucia ma la chiamano così «perché ha i capelli fini e impalpabili come la fuliggine nera dell’Etna, che in siciliano si dice “fulinia”. Fuliara è un soprannome ma anche una suggestione» dice Anna Chisari, giornalista con base a Milano, che l’ha sceltocome titolo del suo secondo romanzo (Garzanti).
«E una guaritrice e non una strega, ovvero una che conosce i ritmi della natura e i segreti del cuore» aggiunge.È a lei che viene affidata Veneranda, una bambina,orfana di madre, che presto diventa la sua erede, una figlia d’anima a cui insegna a distinguere l’astragalo dalla saponaria, il finocchietto selvatico dal caglio dell’Etna. Ma, soprattutto, il bene dal male.
La Fuliara è la protagonista delle pagine più femminili ma anche più dolci del romanzo,
perché quasi tutte le altre sono un intreccio di tanti destini familiari condannati alla violenza. Siamo a Bclpasso, la città siciliana d’origine dell’autrice, a metà Ottocento, e i personaggi sono quasi tutti in cerca di un posto meno duro nel mondo. Da Michele Cutrona, che lascia la figlia gravida per uno stupro in convento finché partorisce, a Cateno, bambino abbandonato dalla madre nella ruota della chiesa della Madonna del Carmelo, a Catania, dove viene accudito dal prete, fino a Pietrangelo Balsamo detto Artigghiu, «un personaggio cattivo anche se non sembra aver motivi per esserlo,che non si evolve, quello che odio di più» precisa la
Chisari. Tra gravidanze occultate, unioni infelici e famiglie governate dagli uomini,la trama ha uno stile scorrevole ma soprattutto una lingua intarsiata dal dialetto catanese che è «ironico,uno scoppiettio che somiglia a un lamento continuo e profondo».


È un libro dove sembra non ci sia spazio per le relazioni sane. Come nasce?
La storia è il prequel del mio primo romanzo (Il vento dell’Etna, ndr) ma non solo; volevo par-
lare di una cosa precisa. Ovvero delfatto che alcune persone vivono da infelici senza sapere che a volte la causa di questa infelicità è nella storia della loro famiglia, una storia macchiata da un danno che ha lasciato marchi emotivi. Si chiama trauma intergenerazionale e l’ho scoperto per caso.
Cos’è questa macchia ereditata?
L’impatto che esperienze traumatiche vissute da una generazione possono avere sulle gene-
razioni successive, anche senza che queste ultime abbiano subito lo stesso trauma. Però ci si può riscattare. Basta cercare dentro di noi una forza nuova per vivere una storia diversa da quella familiare.
Michele Cutrona è uno che alla moglie “non gliene faceva passare una,e ogni tanto le assestava qualche schiaffone e qualche calcio,anche senza motivo, pernon farle alzare la cresta e farle capire che in casa e fuori l’uomo era lui…”. Come ha conosciuto questo maschilismo?
E quello degli uomini della Sicilia dove ho vissuto dagli anni Settanta agli anni Novanta. Ri-
cordo che quando passavo nel corso principale di Belpasso c’erano sempre seduti una decina di uomini che ti squadravano e ti facevano sentire un oggetto. Provavo molta vergogna. Ricordo anche che i miei zii e i miei cugini erano molto assertivi con le loro donne che, per gelosia, erano state costrette a lasciare il lavoro prima di sposarsi e ín casa obbedivano ai maschi.
Oggi le donne sono più autonome ma il tema della violenza resiste.
Un tempo c’era la violenza del controllo, oggi c’è quella di chi ha perso questo potere e non
sopporta la nuova realtà femminile.
In ogni caso, la violenza coinvolge anche gli uomini nel libro. Cateno, per esempio,è un ragazzo che sarebbe potuto restare un semplice mozzo imbar cato su una nave, invece diventa un uomo preda di bassi istinti come gli altri.
Cateno diventa cattivo perché incrocia la malvagità umana. È la stessa cosa successa, giorni
fa, nel carcere di Marassi a un diciottenne torturato e stuprato. Come vede, cambiano le epoche, gli uomini sembrano migliorare, ma certe cose restano immutabili. Fame, sete, sesso e potere. Questo romanzo percorre le vie dei sentimenti oscuri che non riusciamo a immaginare ma che ci appartengono.
Anche Veneranda rispetto alla Fuliara diventa alla fine malvagia,ovvero supera il confine invalicabile che separa il bene dal male. Lo fa per “proteggere” sua figlia Nunzia, moglie e madre felice…
E il tema della maternità tossica. Vedo anche oggi madri che non permettono ai figli di “na-
scere” e figli che restano a vita nell’utero materno. Ne Il Vento dell’Etna ho scritto che «una persona non è nata se non va via dalla casa della madre».
Ci sono scene molto cruente. Rappresentano la violenza che imperversa nella Genova assediata dal generale Massena, la città dove Cateno ammette che per lui è indifferente che arrivino gli eserciti di Napoleone o quelli inglesi…
Ma lui lo dice solo per ignoranza! Cateno è come quelli che oggi non vanno a votare perché tan-
to alla fine non cambia nulla… E questa è una verità che ha a che fare con l’ineluttabilità della guerra.


Rossana Campisi

Lascia un commento